I
LIMITI ATTUALI DELL'INTEGRAZIONE EUROPEA,
PROBLEMI APERTI E RICERCA
DI SOLUZIONI
Il
25 marzo 2017 si sono svolte a Roma le ricorrenze ufficiali dei 60
anni dal "Trattato di Roma", atto fondativo storico della
Comunità Economica Europea del 25/03/1957, alla base delle attuali
istituzioni comunitarie, insieme alla fondazione della Comunità
Europea del Carbone e dell'Acciaio (o Trattato di Parigi, entrato in
vigore il 23/07/1952 e giunto a conclusione il 23/07/2002).
a] SINTESI
STORICA
Il percorso che
condusse ai Trattati di Roma, in cui sei Paesi europei addivennero
alla firma di storici "accordi fondativi" della Comunità
Economica Europea, precorritrice dell'attuale Unione, prese le mosse
dal periodo della ricostruzione post-bellica. L'Italia, oltre alla
concreta edificazione di città intere, infrastrutture e istituzioni,
si è dovuta impegnare a fondo anche per costruire la propria
immagine e reputazione internazionali, compromesse dalle alleanze e
dagli esiti della II Guerra mondiale. Tale impellenza storica è
"fotografata" indelebilmente dal celebre discorso di Alcide
De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946, che si aprì
come segue: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale
sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di
me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa
considerare come imputato ..." e si concluse, dopo ferme
rimostranze sulla maniera in cui Gran Bretagna e USA stavano gestendo
la questione dei confini jugoslavi e dei territori istriani, con:
"... vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica
d'Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare
la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più
umano".
Archiviate la glaciale
accoglienza riservata alla delegazione italiana, giocoforza accettate
le dure decisioni, nei nostri confronti, della Conferenza di Pace,
l'immagine internazionale dell'Italia fu lentamente recuperata,
mentre fu indubbiamente più rapida la sua decisa collocazione nella
sfera d'influenza occidentale, secondo quanto gli Statu Uniti
d'America speravano e indirizzavano, in primo luogo dopo aver
sventato il "pericolo rosso" nelle elezioni del 1948, ed in
secondo luogo (come diretta conseguenza del primo) dando inizio nello
stesso anno ai maxi-aiuti e ai maxi-prestiti "condizionati"
(all'acquisto di prodotti USA) del famoso "Piano Marshall"
(1948-1951).
I risultati di tale
"operazione credibilità" crebbero inoltre con la nostra
partecipazione alla NATO, in qualità di socio fondatore firmatario
del Patto Atlantico a Washington il 4.4.1949, e, sul piano interno,
con il progressivo superamento dei problemi interni della diffusa
povertà e delle carenze strutturali del sistema imprenditoriale,
culminando successivamente nel conclamato e celebrato "miracolo
economico" del quindicennio 1958-1973.
E' in questo quadro che
il cammino verso i Trattati di Roma conosce i seguenti momenti
fondamentali:
1) 18 aprile 1951,
istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio
(CECA), con il Trattato di Parigi promosso dai celebri politici
francesi Jean Monnet e Robert Schumann, fondata dai 6 Paesi Francia,
Italia, Germania O., Belgio, Olanda e Lussemburgo;
2) 4 aprile 1955,
"Memorandum del Benelux", in cui i tre ministri degli
Esteri Beyen (Olanda), Spaak (Belgio) e Bech (Lussemburgo) produssero
un accordo per la integrazione europea, che si aggiungeva al piano
Jean Monnet sulla gestione dell'energia atomica, che prevedeva che
gli stati europei si sarebbero riuniti in Italia, per avviare
concretamente tali accordi.
3) 1-3 giugno 1955,
Conferenza di Messina, tenuta a casa del nostro Ministro degli Esteri
di allora Gaetano Martino, in cui si tentò di formalizzare il
concreto impegno di tutti i sei Paesi partecipanti (gli stessi della
CECA) per la integrazione europea a tutti i livelli. Tale Conferenza
di Messina si risolse però in una sorta di compromesso "annacquato",
in quanto il rappresentante olandese pose come condizione di avvio di
istituzioni comuni la iniziale esclusione di Italia e Germania O.,
mentre i restanti Paesi, per raggiungere un punto negoziale comune,
riuscirono a proporre solo una lettera di intenti riguardante la
prossima creazione di una Comunità Economica Europea e di una
Comunità Europea della Energia Atomica. La "Commissione Spaak"
venne comunque incaricata dalla Conferenza di Messina di produrre un
rapporto per la implementazione successiva degli accordi firmati. Il
via libera alla stesura dei due Trattati avvenne durante il Congresso
della CECA tenuto a Venezia il 30 maggio 1956. In tale fase, la Gran
Bretagna, sempre in posizione euro-scettica e di rottura rispetto
alle intese dei paesi continentali, pur invitata a firmare gli
accordi, rifiutò l'adesione ed optò per la convocazione a parte
dell'accordo EFTA (accordo di libero scambio, concluso poi nel 1960).
Il 25 marzo 1957
vennero quindi firmati i Trattati di Roma, istitutivi della Comunità
Economica Europea e dell'Euratom (Comunità Europea dell'Energia
Atomica) tra i sei Paesi fondatori Belgio, Francia, Germania O.,
Italia, Lussemburgo e Olanda, ancora oggi accordo di riferimento
dell'Unione Europea (quantunque emendato ed evoluto verso l'attuale
vigente Trattato di Lisbona). Il trattato di fondazione della CEE, in
particolare, prevedeva l'abbattimento delle tariffe doganali, il varo
di una politica agricola comune, la istituzione del fondo sociale
europeo e della Banca Europea degli Investimenti, nonché l'impegno a
ulteriori importanti forme di integrazione e cooperazione.
b] L'EURO A UN BIVIO
ALCUNE PROPOSTE DI "TECNICI"
(riprodotte per gentile concessione del JORNAL de NEGOCIOS di Lisbona)
Al
di là della innegabile importanza storica dell'evento, giustamente
alla ribalta dell'attualità nazionale ed europea, la ricorrenza è
risultata utile anche per formulare idee e proposte per "uscire
dal guado", ovvero per tentare di rilanciare la c.d. "Zona
Euro", oggi bersagliata da critiche e fonte di disillusioni e
proteste, dovute allo stato di crisi delle economie e di diffusa
incertezza ed inquietudine.
Rimandando
ad altri e più titolati studiosi l'analisi delle motivazioni alla
base della crisi attuale, come ingegnere vorrei solo condividere
alcune semplici considerazioni sul perché, così com'è, l'Unione
Europea non può fermarsi ai risultati di integrazione
politico-economica raggiunti (ancorché notevoli), ma deve solo
puntare a progredire con coraggio, e in fretta. Infatti, così come
tutti i progetti ambiziosi e complessi, il sogno di partenza di
un'Europa unita e federata (l'antico sogno dell'impero romano, che in
parte lo realizzò, e poi di Erasmo da Rotterdam e, nel secolo
scorso, dei "padri fondatori" Jean Monnet, Spaak, Beyen, De
Gasperi e Martino, solo per citare i principali uomini di governo che
promossero i trattati e gli accordi di "lancio" della casa
europea) deve perseguire il superamento di incertezze e traguardi
parziali, non solo per mettersi alle spalle le inquietudini e le
incertezze economiche di questo momento storico, ma soprattutto per
rifondare il rapporto tra i cittadini europei e le istituzioni
comunitarie, alla base dell'esistenza stessa della U.E..
Infatti,
se da un lato i progressi seguiti nel disegno dell'Unione, nella sua
capacità di legiferare e di rapportarsi con i singoli governi, sono
stati davvero rilevanti, d'altro canto la preminenza dell'economia,
dell'unione monetaria e della supervisione bancaria non può più
costituire la dorsale dei provvedimenti e delle istituzioni europee,
ma dev'essere superata a favore di vere e proprie istituzioni
federate: infatti, solo per citare alcuni degli squilibri attuali,
l'Unione non ha ancora realizzato una difesa comune, nè una moneta
accettata da tutti, nè ancora un meccanismo di legificazione con
tempi di applicazione certi e condivisi, o politiche condivise di
cittadinanza e immigrazione, nè un bilancio comunitario vero e
proprio, capace di attutire le differenze socio-economiche ed i
diversi impatti delle crisi internazionali sui cittadini e sulle
famiglie...
Ecco
allora evidenziarsi, scevro da preconcetti o da posizioni politiche
di parte, la carenza più grave dell'attuale Unione Europea: la
centralità del controllo sull'emissione dell'Euro (adottata solo da
una parte dei Paesi) e della "regolazione" dei sistemi
bancari, giunta ad uno stadio sicuramente più avanzato dei restanti
temi (difesa - immigrazione - welfare, che ho tentato di riassumere
sopra, a mio avviso assolutamente prioritari), non è stata sinora in
grado di dare risposte ai problemi dei cittadini europei. Anzi,
nell'attuale temperie economica globale, ha fornito "fiato alle
trombe" delle forze anti-europeiste che, con strategia populista
di crescente successo elettorale, non perdono alcuna occasione per
additare come causa di ogni male la c.d. "Europa dei banchieri".
Prova
ne sia, anche l'esito del referendum britannico per l'uscita dalla
Unione Europea ("Brexit" Yes - che riguarda sì un Paese
fondamentale come il Regno Unito, ma in verità da sempre riluttante
e scettico rispetto alle chances di successo dell'idea comunitaria,
al cui trattato fondativo, infatti, non partecipò).
Quindi,
il vero terreno di sfida per la realizzazione dell'Europa Unita è
proprio il coraggio, che ebbero i padri fondatori e dovrebbe permeare
anche gli attuali governi dei Paesi europei, nel dare impulso alla
integrazione dei sistemi e delle leggi, nei settori sopra
sintetizzati: non tanto mirando a formule bizantineggianti e
artificiose, in cui vengano distinte fasce a due o tre "velocità",
in base alla più o meno ridente condizione dei conti economici
individuali, ma soprattutto tirando diritto verso un vero federalismo
sociale, civile e istituzionale.
Al
momento, però, sicuramente vanno riequilibrate le sorti delle
"sofferenze economiche" rilevate dai Paesi europei,
rispetto alle condizioni di crisi delle famiglie e degli istituti di
credito nazionali, in cui sicuramente stridono (altro motivo delle
rimostranze populiste dei partiti anti-europeisti) i bilanci
sofferenti dei Paesi mediterranei, rispetto a quello tedesco e dei
paesi scandinavi.
Proprio
sui problemi della c.d. "Zona Euro" e sulle chance di
rilancio delle economie nazionali in sofferenza, ho quindi ritenuto
utile e interessante proporre le ricette di 5 economisti, pubblicate
in forma di altrettante interviste dal quotidiano economico
portoghese "Jornal de Negocios" di Lisbona proprio lo
scorso 25 marzo 2017 (da noi tradotte e sotto riprodotte, dietro
autorizzazione concessaci dallo stesso prestigioso quotidiano) in
cui, pur con proposte tecniche diverse di provvedimenti finanziari e
di fondi obbligazionari da creare ad hoc, tutti gli studiosi
intervistati convergono nell'individuare nell'egoismo economico della
Germania uno dei fattori da smussare e rimodulare, ai fini del
desiderato sblocco delle economie mediterranee.
Sullo
sfondo, un insieme di considerazioni sulla rigidità dei parametri di
Maastricht e sulla necessità di non appiattirsi su politiche e
riforme di esclusiva ispirazione ultra-liberista, già richiamata
efficacemente 4 anni fa dall'economista Giancarlo Elia Valori, che
chiosava così un suo intervento sulla rivista on-line
"formiche.net":
"...
il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale
instabilità della Unione monetaria rappresenta l’esito di un
intreccio
ben più profondo tra la crisi economica mondiale e una
serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano
principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato
dell’Unione e dall’orientamento di una politica economica
restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo
con l’estero. Per cui è necessario istituire un sistema
di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo,
che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e
territoriale, che ha concorso a scatenare questo stato di crisi.
Serve poi uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni
di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai
contribuenti con ritenuta alla fonte degli evasori, dalle aree povere
alle aree ricche dell’Unione, nonché un ampliamento significativo
del bilancio federale dell’Unione e rendere possibile l’emissione
di titoli pubblici europei. Senza trascurare l’attuazione di un
adeguato coordinamento della politica fiscale e della politica
monetaria europea che consenta di agevolare il processo di
aggiustamento e di crescita sostenibile, attraverso la creazione di
posti di lavoro e la garanzia di un tenore di vita dignitoso per
tutti i cittadini, nonché il riequilibrio territoriale non solo
delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive. Sono
queste alcune delle tante iniziative
che, con una classe politica creativa e produttiva, i cittadini
europei potranno ricostruire la speranza in futuro di progresso e di
benessere, il più ampiamente partecipato".
Di
seguito, le "ricette" di dettaglio proposta dai cinque
economisti intervistati dal JdN, che, puer con articolazioni e
strumentazioni diverse, mi paiono rispecchiare pienamente gli
obiettivi di politica economica proposte dallo stesso Valori.
Auspicando, come si diceva in apertura, che il cammino dell'Unione
non si fermi all'economia, ma che possa progredire con coraggio verso
un federalismo effettivo.
Il paragrafo seguente è tratto dal "JORNAL DE
NEGOCIOS" di Lisbona del 25/03/2017, Interviste di R.P. Jorge ed R.
Santos (aut. concessa, trad. Nazareno Claudiani)
http://www.jornaldenegocios.pt/economia/europa/uniao-europeia/detalhe/cinco-economias-cinco-ideias-para-salvar-a-zona-euro
("Cinco economistas, cinco ideias para salvar a Zona Euro")
c] CINQUE ECONOMISTI,
CINQUE
IDEE PER SALVARE LA ZONA EURO
"Tu
sei l'Euro e sopra di te costruiremo l'Europa", sostiene il
premier portoghese Antonio Costa, così come sosteneva l'ex premier
ed attuale Segretario Generale ONU Antonio Guterres.
Ma
non tutti la pensano alla stessa maniera, e ciò aiuta a spiegar
perché il futuro dell'Euro non è all'ordine del giorno delle
celebrazioni di Roma del 60° anniversario della Comunità Europea. E
comunque, non mancano proposte per tentare di ovviare alle attuali
evidenti lacune dell'unione monetaria.
Abbiamo
invitato cinque economisti a proporre misure idonee ad attuare una
benefica riforma della zona Euro, con i risultati sotto riportati.
1) Ricardo Reis, prof.
in Economia presso la London School of Economics
"E' molto
importante rilevare che la mia proposta è un titolo 'pan-europeo',
privo di rischi, ma non è un Euro-bond"
Proposta 1:
Istituire una "obbligazione europea" che non comporti
rischi nè meccanismi di mutua compensazione.
L'idea nacque sei anni
fa, attraversando il deserto della crisi, ma è nel momento attuale
che viene approfondita e studiata intensamente nella BCE e nella
Commissione Europea.
Ricardo Reis è uno
degli autori della proposta e si mostra fiducioso: "le
'obbligazioni europee sicure' non implicano trasferimenti di budget
tra Paesi e non richiedono alcuna revisione dei Trattati. Potrebbero
inoltre esser messe in campo nell'arco di pochi mesi", afferma.
Il sistema finanziario europeo necessita di obbligazioni a rischio
zero, che possano prendere il posto delle obbligazioni del Tesoro nei
bilanci delle banche, che così restano assai esposte allo stato di
salute dei (debiti) sovrani, perpetuando la relazione diabolica tra
la salute degli Stati e quella delle banche, i cui effetti negativi
sono emersi durante la crisi.
La diagnosi del
problema si trova nelle analisi di parecchi economisti, ma la
relativa soluzione si blocca sempre di fronte alla emissione dei c.d.
Eurobonds - che consiste nella emissione di titoli condivisi a
livello di zona Euro, con responsabilità condivisa tra i vari Paesi
- o che indirettamente consente trasferimenti di budget tra Paesi. Le
"obbligazioni europee sicure" tentano di rispondere a tali
due ordini di problemi, spiega Reis. L'idea è di poter disporre di
una Entità europea per acquistare un insieme di debiti dei Paesi
della Zona Euro, che poi sarebbero suddivisi in due tranches, una di
tipo 'senior' (le "obbligazioni europee sicure") e l'altra
di tipo 'junior'. "Tali obbligazioni risulteranno più sicure di
qualunque altro buono obbligazionario nazionale, proprio per la
diversificazione del rischio che le caratterizza; inoltre, l'essere
'pan-europee' evita che, in situazioni di crisi, si verifichino fughe
di capitali dalle obbligazioni dei paesi più fragili a quelle dei
più robusti", spiega l'economista, che indica quindi le
differenze con gli 'Eurobonds': "in tale modello, ogni Paese
continua ad emettere il proprio debito, secondo le regole di mercato,
previo acquisto della parte a lei destinata da parte dell'Agenzia
europea preposta. Nessun Paese pagherà quindi nulla per gli
eventuali inadempimenti degli altri. L'eventuale perdita, in tal
caso, sarebbe a carico degli investitori che acquistano le tranches
di obbligazioni 'junior' emesse dal fondo europeo, mentre il paese
inadempiente verrebbe penalizzato in termini degli interessi di
mercato che dove corrispondere".
2) Guntram Wolff,
Direttore del think tank europeo BRUEGEL
"Per assicurare
minore penalizzazione indotta, necessitiamo di maggior integrazione
finanziaria"
Proposta 2: creare
una regola credibile per impedire la ripartizione dei debiti.
Guntram Wolff dirige
uno dei più influenti 'think tanks' europei, e, tra il desiderabile
ed il possibile per salvare la Zona Euro, propone uno sforzo per
rendere credibile la vecchia clausola del Trattato UE che impedisce
che uno Stato membro assuma il debito di un altro, anche nota come
'clausola di NON bail-out'.
Quindi, la zona Euro
dovrà garantire, in primo luogo, una maggior integrazione e
stabilità finanziaria, nonché una miglior supervisione delle
banche. Un piccolo strumento europeo di supporto sociale da attivare
con le avvisaglie di grandi crisi, insieme a meccanismi di
ristrutturazione del debito, potranno essere inoltre di grande aiuto,
spiega l'economista tedesco.
La 'clausola di NON
bail-out' (Art.125 del Trattato di Lisbona) esiste per assicurare che
nessuno Stato membro possa esser responsabile per le condizioni di
bilancio degli altri, con lo scopo di preservare la sovranità di
bilancio e render manifesta, agli investitori, la necessità di
differenziare tra livelli di rischio di ciascun singolo Paese.
"Possiamo aspirare
a soluzioni con maggior integrazione di bilancio e condivisione del
rischio, all'interno della Zona Euro, ma è a mio parere uno scenario
di difficile attuazione" nell'attuale contesto politico europeo.
L'alternativa passa per "rendere più credibile la 'clausola del
NON bail-out', anche alla luce di quanto abbiamo imparato dalla
crisi, il che sarà possibile se possiamo effettivamente ridurre il
rischio dei salvataggi, nel futuro, collocando il 'focus' sul sistema
bancario.
Può apparire un
controsenso, ma per assicurare minor integrazione dei bilanci a
livello europeo abbiamo necessità di una maggiore integrazione
bancaria e finanziaria", sostiene, richiamando l'urgenza di
sviluppare strumenti che garantiscano una miglior stabilità
finanziaria. Tra essi, si sta completando l'approfondimento
dell'unione bancaria, con la creazione di un'assicurazione comune dei
depositi ed una migliore e più efficace supervisione del sistema
bancario da parte della BCE.
"Affinché la
'clausola di NON bail-out' risulti credibile, necessitiamo di
interrompere la connessione diabolica tra Stati e banche",
chiosa, aggiungendo che sarebbe probabilmente utile disporre di un
qualche tipo di piccolo fondo europeo di sostegno sociale (il che
sarà arduo), nonché di regole più chiare di ristrutturazione del
debito per i casi in cui il salvataggio si riveli inevitabile.
3) Nazaré Cabral,
Prof. Facoltà di Diritto di Lisbona
"Potrebbe
essere introdotto un fondo di stabilizzazione nelle regole del Patto
di Stabilità."
Proposta 3: creare
un fondo di stabilizzazione dell'economia.
Nazaré Costa Cabral
propone la creazione di un fondo di stabilizzazione che consenta di
moderare gli shock finanziari a livello di unione monetaria,
alleviare le divergenze periodiche tra gli Stati membri e conferire
al Patto di Stabilità e Crescita una dimensione incentivante,
rispetto ai Paesi adempienti, piuttosto che sanzionatoria (come
oggetto di numerose discussioni, anche in Portogallo).
Un fondo di tale natura
si avvicina ad un concetto di bilancio federale, ormai possibile
nella Zona Euro, sostiene. "L'idea è un simulacro di bilancio
federale in embrione, che preveda ingressi e uscite, con l'obiettivo
di attutire sia possibili shock asimmetrici tra Paesi, sia gli shock
simmetrici", spiega.
L'economista e
giurista, che negli ultimi mesi ha studiato ed analizzato varie
proposte di meccanismi di assorbimento degli shock finanziari per la
Zona Euro, si esprime a favore del finanziamento attraverso la
creazione di un'imposta specifica a livello UE: "Sarebbe più
facile per creare un fondo specifico, invece di utilizzare imposte
esistenti in ciascun paese, poiché le regole per la determinazione
delle imposte variano notevolmente tra gli Stati membri",
afferma, spiegando che i paesi in recessione non contribuirebbero (o
contribuirebbero di meno) a tale fondo; mentre quelli in fase di
crescita contribuirebbero di più.
Per quanto riguarda
l'utilizzo delle risorse economiche così accantonate, Nazaré Costa
Cabral non prende posizione: "o il fondo trasferirà
direttamente risorse ai bilanci dei Paesi in difficoltà, o
compenserà direttamente i relativi lavoratori ed imprese attraverso
la riduzione dei contributi obbligatori di previdenza sociale".
A lungo termine, tale
tipo di fondi non implica necessariamente trasferimenti di bilancio
tra Stati membri. Ma Cabral ha un ulteriore argomento per convincere
gli scettici: sarebbe possibile (e auspicabile) collegare il fondo al
PSEC (Patto di Stabilità e Crescita) per esempio facendo dipendere
l'entità dei trasferimenti dall'adempimento delle regole di
bilancio: "il PSEC è un meccanismo di limitazione del rischio
morale ed è asimmetrico: si preoccupa degli inadempienti, ma non
premia né incentiva quelli che lo centrano e lo superano.
L'associazione dei risultati positivi alla erogazione di tale fondo
consentirebbe di introdurre tale dimensione premiale".
4) Francesco Franco,
Prof. in Economia presso la "Universide Nova" di Lisbona,
proveniente dalla Univ. Bocconi di Milano
"La zona Euro
ha la necessità di nuovi meccanismi di regolazione simultanea degli
equilibri sia interni sia esterni."
Proposta 4: rendere
l'IVA e le tasse previdenziali strumenti di riequilibrio della U.E.
La Zona Euro necessita
indubbiamente di strumenti di riequilibrio interno per i paesi
indeboliti dalla crisi - come un sussidio europeo di disoccupazione o
qualche fondo di stabilizzazione ciclica - ma parimenti necessita di
strumenti istituzionali che promuovano l'equilibrio esterno delle
varie economie. La proposta di Francesco Franco per riformare
l'unione monetaria è che si tenti di realizzare entrambi gli
strumenti contemporaneamente: "la Zona Euro ha certamente
bisogno di meccanismi che permettano il risanamento simultaneo a
livello sia interno sia esterno", dice, spiegando come
collocherebbe una tassa sul consumo e sul lavoro, a servizio dei
riequilibri interni della Zona Euro.
Un sistema europeo di
gestione della disoccupazione potrà rivelarsi di supporto alla
situazione interna, ma non aiuta la regolazione esterna, potendola
finanche arrecarle pregiudizio, spiega. E che nell'Unione monetaria
un aggiustamento relativo dei prezzi, che è condizione necessaria
per permettere la regolazione esterna, esige l'emigrazione e
l'aggiustamento dei salari. Ora, il sussidio di disoccupazione, che
può esser auspicabile sul piano sociale e interno, è parimenti di
ostacolo alla regolazione sul fronte esterno.
Per tentare di
risolvere questa contrapposizione di politiche possibili,
l'economista propone "un fondo di stabilizzazione, che può
essere un sistema di sussidi di disoccupazione, finanziato da un
'mix' di entrate IVA e dei contributi di sicurezza sociale",
favorendo così il riequilibrio esterno.
Chi ha seguito il
dibattito degli ultimi anni in Portogallo sulle detrazioni fiscali,
ha sicuramente familiarità con parte del ragionamento: gli aumenti
dell'IVA penalizzano le importazioni, mentre le riduzioni delle
imposte favoriscono l'export.
L'economista sostiene
che il meccanismo debba funzionare su scala europea: quindi, "un
paese con un disavanzo esterno finanzierà il fondo del Fondo di
stabilizzazione abbassando la quota di 'Tassa Sociale Unica' e
aumentando l'aliquota IVA. Simmetricamente, il paese dotato di
surplus esterno lo finanzierà aumentando la 'Tassa Sociale Unica' e
abbassando l'IVA", spiega, proponendo di iniziare con un molto
piccolo e leggero, che possa essere testato e validato, e poi
aumentato se tutto procederà per il meglio.
5] Ricardo Cabral,
Prof. in Macroeconomia presso la
Università di Madeira, Portogallo
"Il problema
più grave della zona euro è una carenza cronica di domanda
aggregata risultante dalle norme del Patto di Stabilità e Crescita."
Proposta 5: imporre
una tassa sulle eccedenze di surplus esterno.
Il problema principale
della unione monetaria è una carenza cronica di domanda aggregata,
derivante dalle regole del Patto di stabilità e crescita, che
dev'essere compensata con un meccanismo di trasferimenti finanziari
reciproci dei paesi con surplus, sostiene Ricardo Cabral.
Per risollevare
l'Europa dalla spirale depressiva, Cabral propone l'applicazione di
una tassa straordinaria a carico dei Paesi con un eccesso di surplus
esterno. "Chi presenti un eccesso ingente di bilancio corrente
dovrà sottoporsi ad una multa, che servirebbe ad incentivare la
domanda aggregata nei Paesi con livelli elevati di disoccupazione",
dichiara.
L'economista propone
che 1/4 del surplus esterno eccedente il 3% del PIL sia trasferito al
bilancio della UE e distribuito ai Paesi ad elevata disoccupazione ed
alto indebitamento. Basandoci sui dai del 2016, una misura di questo
tipo ridurrebbe il surplus tedesco annuale da circa il 9% del PIL a
ca. il 7.5% del PIL, ma farebbe aumentare il bilancio UE del 27%,
passando da quasi l'1% del PIL dell'area Euro all'1,27%. Inoltre,
aggiunge, "creerebbe un incentivo per la Germania a promuovere
attivamente misure di stimolo della domanda interna al fine di
ridurre il suo surplus", come le è stato più volte
raccomandato dalla Commissione europea.
Critico verso il modo
in cui la Zona Euro insiste a considerare tabù alcuni argomenti - da
quello del ruolo di prestatore di ultima istanza che la BCE deve
assumere, alla totale avversione a trasferimenti diretti di bilancio
- Cabral insiste che è indispensabile riconoscere i pregiudizi
impliciti nelle regole europee in vigore. "Imponendo a tutti il
pareggio di bilancio, le regole richiedono a tutti i Paesi anche
conti in equilibrio con l'estero. Questo finisce per generare forze
deflazionistiche in termini aggregati che pregiudicano l'occupazione
e la riduzione del debito dei paesi più deboli, contemporaneamente
promuovendo un surplus esterno della zona euro superiore al 3% del
PIL", critica.
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