martedì 18 aprile 2017

I LIMITI ATTUALI DELL'INTEGRAZIONE EUROPEA,
PROBLEMI APERTI E RICERCA DI SOLUZIONI



Il 25 marzo 2017 si sono svolte a Roma le ricorrenze ufficiali dei 60 anni dal "Trattato di Roma", atto fondativo storico della Comunità Economica Europea del 25/03/1957, alla base delle attuali istituzioni comunitarie, insieme alla fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (o Trattato di Parigi, entrato in vigore il 23/07/1952 e giunto a conclusione il 23/07/2002).



a] SINTESI STORICA
Il percorso che condusse ai Trattati di Roma, in cui sei Paesi europei addivennero alla firma di storici "accordi fondativi" della Comunità Economica Europea, precorritrice dell'attuale Unione, prese le mosse dal periodo della ricostruzione post-bellica. L'Italia, oltre alla concreta edificazione di città intere, infrastrutture e istituzioni, si è dovuta impegnare a fondo anche per costruire la propria immagine e reputazione internazionali, compromesse dalle alleanze e dagli esiti della II Guerra mondiale. Tale impellenza storica è "fotografata" indelebilmente dal celebre discorso di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946, che si aprì come segue: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato ..." e si concluse, dopo ferme rimostranze sulla maniera in cui Gran Bretagna e USA stavano gestendo la questione dei confini jugoslavi e dei territori istriani, con: "... vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d'Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano".
Archiviate la glaciale accoglienza riservata alla delegazione italiana, giocoforza accettate le dure decisioni, nei nostri confronti, della Conferenza di Pace, l'immagine internazionale dell'Italia fu lentamente recuperata, mentre fu indubbiamente più rapida la sua decisa collocazione nella sfera d'influenza occidentale, secondo quanto gli Statu Uniti d'America speravano e indirizzavano, in primo luogo dopo aver sventato il "pericolo rosso" nelle elezioni del 1948, ed in secondo luogo (come diretta conseguenza del primo) dando inizio nello stesso anno ai maxi-aiuti e ai maxi-prestiti "condizionati" (all'acquisto di prodotti USA) del famoso "Piano Marshall" (1948-1951).
I risultati di tale "operazione credibilità" crebbero inoltre con la nostra partecipazione alla NATO, in qualità di socio fondatore firmatario del Patto Atlantico a Washington il 4.4.1949, e, sul piano interno, con il progressivo superamento dei problemi interni della diffusa povertà e delle carenze strutturali del sistema imprenditoriale, culminando successivamente nel conclamato e celebrato "miracolo economico" del quindicennio 1958-1973.
E' in questo quadro che il cammino verso i Trattati di Roma conosce i seguenti momenti fondamentali:
1) 18 aprile 1951, istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), con il Trattato di Parigi promosso dai celebri politici francesi Jean Monnet e Robert Schumann, fondata dai 6 Paesi Francia, Italia, Germania O., Belgio, Olanda e Lussemburgo;
2) 4 aprile 1955, "Memorandum del Benelux", in cui i tre ministri degli Esteri Beyen (Olanda), Spaak (Belgio) e Bech (Lussemburgo) produssero un accordo per la integrazione europea, che si aggiungeva al piano Jean Monnet sulla gestione dell'energia atomica, che prevedeva che gli stati europei si sarebbero riuniti in Italia, per avviare concretamente tali accordi.
3) 1-3 giugno 1955, Conferenza di Messina, tenuta a casa del nostro Ministro degli Esteri di allora Gaetano Martino, in cui si tentò di formalizzare il concreto impegno di tutti i sei Paesi partecipanti (gli stessi della CECA) per la integrazione europea a tutti i livelli. Tale Conferenza di Messina si risolse però in una sorta di compromesso "annacquato", in quanto il rappresentante olandese pose come condizione di avvio di istituzioni comuni la iniziale esclusione di Italia e Germania O., mentre i restanti Paesi, per raggiungere un punto negoziale comune, riuscirono a proporre solo una lettera di intenti riguardante la prossima creazione di una Comunità Economica Europea e di una Comunità Europea della Energia Atomica. La "Commissione Spaak" venne comunque incaricata dalla Conferenza di Messina di produrre un rapporto per la implementazione successiva degli accordi firmati. Il via libera alla stesura dei due Trattati avvenne durante il Congresso della CECA tenuto a Venezia il 30 maggio 1956. In tale fase, la Gran Bretagna, sempre in posizione euro-scettica e di rottura rispetto alle intese dei paesi continentali, pur invitata a firmare gli accordi, rifiutò l'adesione ed optò per la convocazione a parte dell'accordo EFTA (accordo di libero scambio, concluso poi nel 1960).

Il 25 marzo 1957 vennero quindi firmati i Trattati di Roma, istitutivi della Comunità Economica Europea e dell'Euratom (Comunità Europea dell'Energia Atomica) tra i sei Paesi fondatori Belgio, Francia, Germania O., Italia, Lussemburgo e Olanda, ancora oggi accordo di riferimento dell'Unione Europea (quantunque emendato ed evoluto verso l'attuale vigente Trattato di Lisbona). Il trattato di fondazione della CEE, in particolare, prevedeva l'abbattimento delle tariffe doganali, il varo di una politica agricola comune, la istituzione del fondo sociale europeo e della Banca Europea degli Investimenti, nonché l'impegno a ulteriori importanti forme di integrazione e cooperazione.
 b] L'EURO A UN BIVIO
ALCUNE PROPOSTE DI "TECNICI"
(riprodotte per gentile concessione del JORNAL de NEGOCIOS di Lisbona) 
Al di là della innegabile importanza storica dell'evento, giustamente alla ribalta dell'attualità nazionale ed europea, la ricorrenza è risultata utile anche per formulare idee e proposte per "uscire dal guado", ovvero per tentare di rilanciare la c.d. "Zona Euro", oggi bersagliata da critiche e fonte di disillusioni e proteste, dovute allo stato di crisi delle economie e di diffusa incertezza ed inquietudine.
Rimandando ad altri e più titolati studiosi l'analisi delle motivazioni alla base della crisi attuale, come ingegnere vorrei solo condividere alcune semplici considerazioni sul perché, così com'è, l'Unione Europea non può fermarsi ai risultati di integrazione politico-economica raggiunti (ancorché notevoli), ma deve solo puntare a progredire con coraggio, e in fretta. Infatti, così come tutti i progetti ambiziosi e complessi, il sogno di partenza di un'Europa unita e federata (l'antico sogno dell'impero romano, che in parte lo realizzò, e poi di Erasmo da Rotterdam e, nel secolo scorso, dei "padri fondatori" Jean Monnet, Spaak, Beyen, De Gasperi e Martino, solo per citare i principali uomini di governo che promossero i trattati e gli accordi di "lancio" della casa europea) deve perseguire il superamento di incertezze e traguardi parziali, non solo per mettersi alle spalle le inquietudini e le incertezze economiche di questo momento storico, ma soprattutto per rifondare il rapporto tra i cittadini europei e le istituzioni comunitarie, alla base dell'esistenza stessa della U.E..
Infatti, se da un lato i progressi seguiti nel disegno dell'Unione, nella sua capacità di legiferare e di rapportarsi con i singoli governi, sono stati davvero rilevanti, d'altro canto la preminenza dell'economia, dell'unione monetaria e della supervisione bancaria non può più costituire la dorsale dei provvedimenti e delle istituzioni europee, ma dev'essere superata a favore di vere e proprie istituzioni federate: infatti, solo per citare alcuni degli squilibri attuali, l'Unione non ha ancora realizzato una difesa comune, nè una moneta accettata da tutti, nè ancora un meccanismo di legificazione con tempi di applicazione certi e condivisi, o politiche condivise di cittadinanza e immigrazione, nè un bilancio comunitario vero e proprio, capace di attutire le differenze socio-economiche ed i diversi impatti delle crisi internazionali sui cittadini e sulle famiglie...
Ecco allora evidenziarsi, scevro da preconcetti o da posizioni politiche di parte, la carenza più grave dell'attuale Unione Europea: la centralità del controllo sull'emissione dell'Euro (adottata solo da una parte dei Paesi) e della "regolazione" dei sistemi bancari, giunta ad uno stadio sicuramente più avanzato dei restanti temi (difesa - immigrazione - welfare, che ho tentato di riassumere sopra, a mio avviso assolutamente prioritari), non è stata sinora in grado di dare risposte ai problemi dei cittadini europei. Anzi, nell'attuale temperie economica globale, ha fornito "fiato alle trombe" delle forze anti-europeiste che, con strategia populista di crescente successo elettorale, non perdono alcuna occasione per additare come causa di ogni male la c.d. "Europa dei banchieri".
Prova ne sia, anche l'esito del referendum britannico per l'uscita dalla Unione Europea ("Brexit" Yes - che riguarda sì un Paese fondamentale come il Regno Unito, ma in verità da sempre riluttante e scettico rispetto alle chances di successo dell'idea comunitaria, al cui trattato fondativo, infatti, non partecipò).
Quindi, il vero terreno di sfida per la realizzazione dell'Europa Unita è proprio il coraggio, che ebbero i padri fondatori e dovrebbe permeare anche gli attuali governi dei Paesi europei, nel dare impulso alla integrazione dei sistemi e delle leggi, nei settori sopra sintetizzati: non tanto mirando a formule bizantineggianti e artificiose, in cui vengano distinte fasce a due o tre "velocità", in base alla più o meno ridente condizione dei conti economici individuali, ma soprattutto tirando diritto verso un vero federalismo sociale, civile e istituzionale.
Al momento, però, sicuramente vanno riequilibrate le sorti delle "sofferenze economiche" rilevate dai Paesi europei, rispetto alle condizioni di crisi delle famiglie e degli istituti di credito nazionali, in cui sicuramente stridono (altro motivo delle rimostranze populiste dei partiti anti-europeisti) i bilanci sofferenti dei Paesi mediterranei, rispetto a quello tedesco e dei paesi scandinavi.

Proprio sui problemi della c.d. "Zona Euro" e sulle chance di rilancio delle economie nazionali in sofferenza, ho quindi ritenuto utile e interessante proporre le ricette di 5 economisti, pubblicate in forma di altrettante interviste dal quotidiano economico portoghese "Jornal de Negocios" di Lisbona proprio lo scorso 25 marzo 2017 (da noi tradotte e sotto riprodotte, dietro autorizzazione concessaci dallo stesso prestigioso quotidiano) in cui, pur con proposte tecniche diverse di provvedimenti finanziari e di fondi obbligazionari da creare ad hoc, tutti gli studiosi intervistati convergono nell'individuare nell'egoismo economico della Germania uno dei fattori da smussare e rimodulare, ai fini del desiderato sblocco delle economie mediterranee.
Sullo sfondo, un insieme di considerazioni sulla rigidità dei parametri di Maastricht e sulla necessità di non appiattirsi su politiche e riforme di esclusiva ispirazione ultra-liberista, già richiamata efficacemente 4 anni fa dall'economista Giancarlo Elia Valori, che chiosava così un suo intervento sulla rivista on-line "formiche.net":

"... il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria rappresenta l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica mondiale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di una politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero. Per cui è necessario istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale, che ha concorso a scatenare questo stato di crisi. Serve poi uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte degli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell’Unione, nonché un ampliamento significativo del bilancio federale dell’Unione e rendere possibile l’emissione di titoli pubblici europei. Senza trascurare l’attuazione di un adeguato coordinamento della politica fiscale e della politica monetaria europea che consenta di agevolare il processo di aggiustamento e di crescita sostenibile, attraverso la creazione di posti di lavoro e la garanzia di un tenore di vita dignitoso per tutti i cittadini, nonché il riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive. Sono queste alcune delle tante iniziative che, con una classe politica creativa e produttiva, i cittadini europei potranno ricostruire la speranza in futuro di progresso e di benessere, il più ampiamente partecipato".

Di seguito, le "ricette" di dettaglio proposta dai cinque economisti intervistati dal JdN, che, puer con articolazioni e strumentazioni diverse, mi paiono rispecchiare pienamente gli obiettivi di politica economica proposte dallo stesso Valori. Auspicando, come si diceva in apertura, che il cammino dell'Unione non si fermi all'economia, ma che possa progredire con coraggio verso un federalismo effettivo.


Il paragrafo seguente è tratto dal "JORNAL DE NEGOCIOS" di Lisbona del 25/03/2017, Interviste di R.P. Jorge ed R. Santos (aut. concessa, trad. Nazareno Claudiani)

http://www.jornaldenegocios.pt/economia/europa/uniao-europeia/detalhe/cinco-economias-cinco-ideias-para-salvar-a-zona-euro

("Cinco economistas, cinco ideias para salvar a Zona Euro")


c] CINQUE ECONOMISTI,
CINQUE IDEE PER SALVARE LA ZONA EURO

"Tu sei l'Euro e sopra di te costruiremo l'Europa", sostiene il premier portoghese Antonio Costa, così come sosteneva l'ex premier ed attuale Segretario Generale ONU Antonio Guterres.
Ma non tutti la pensano alla stessa maniera, e ciò aiuta a spiegar perché il futuro dell'Euro non è all'ordine del giorno delle celebrazioni di Roma del 60° anniversario della Comunità Europea. E comunque, non mancano proposte per tentare di ovviare alle attuali evidenti lacune dell'unione monetaria.
Abbiamo invitato cinque economisti a proporre misure idonee ad attuare una benefica riforma della zona Euro, con i risultati sotto riportati.

1) Ricardo Reis, prof. in Economia presso la London School of Economics
"E' molto importante rilevare che la mia proposta è un titolo 'pan-europeo', privo di rischi, ma non è un Euro-bond"

Proposta 1: Istituire una "obbligazione europea" che non comporti rischi nè meccanismi di mutua compensazione.

L'idea nacque sei anni fa, attraversando il deserto della crisi, ma è nel momento attuale che viene approfondita e studiata intensamente nella BCE e nella Commissione Europea.
Ricardo Reis è uno degli autori della proposta e si mostra fiducioso: "le 'obbligazioni europee sicure' non implicano trasferimenti di budget tra Paesi e non richiedono alcuna revisione dei Trattati. Potrebbero inoltre esser messe in campo nell'arco di pochi mesi", afferma. Il sistema finanziario europeo necessita di obbligazioni a rischio zero, che possano prendere il posto delle obbligazioni del Tesoro nei bilanci delle banche, che così restano assai esposte allo stato di salute dei (debiti) sovrani, perpetuando la relazione diabolica tra la salute degli Stati e quella delle banche, i cui effetti negativi sono emersi durante la crisi.
La diagnosi del problema si trova nelle analisi di parecchi economisti, ma la relativa soluzione si blocca sempre di fronte alla emissione dei c.d. Eurobonds - che consiste nella emissione di titoli condivisi a livello di zona Euro, con responsabilità condivisa tra i vari Paesi - o che indirettamente consente trasferimenti di budget tra Paesi. Le "obbligazioni europee sicure" tentano di rispondere a tali due ordini di problemi, spiega Reis. L'idea è di poter disporre di una Entità europea per acquistare un insieme di debiti dei Paesi della Zona Euro, che poi sarebbero suddivisi in due tranches, una di tipo 'senior' (le "obbligazioni europee sicure") e l'altra di tipo 'junior'. "Tali obbligazioni risulteranno più sicure di qualunque altro buono obbligazionario nazionale, proprio per la diversificazione del rischio che le caratterizza; inoltre, l'essere 'pan-europee' evita che, in situazioni di crisi, si verifichino fughe di capitali dalle obbligazioni dei paesi più fragili a quelle dei più robusti", spiega l'economista, che indica quindi le differenze con gli 'Eurobonds': "in tale modello, ogni Paese continua ad emettere il proprio debito, secondo le regole di mercato, previo acquisto della parte a lei destinata da parte dell'Agenzia europea preposta. Nessun Paese pagherà quindi nulla per gli eventuali inadempimenti degli altri. L'eventuale perdita, in tal caso, sarebbe a carico degli investitori che acquistano le tranches di obbligazioni 'junior' emesse dal fondo europeo, mentre il paese inadempiente verrebbe penalizzato in termini degli interessi di mercato che dove corrispondere".

2) Guntram Wolff, Direttore del think tank europeo BRUEGEL
"Per assicurare minore penalizzazione indotta, necessitiamo di maggior integrazione finanziaria"

Proposta 2: creare una regola credibile per impedire la ripartizione dei debiti.

Guntram Wolff dirige uno dei più influenti 'think tanks' europei, e, tra il desiderabile ed il possibile per salvare la Zona Euro, propone uno sforzo per rendere credibile la vecchia clausola del Trattato UE che impedisce che uno Stato membro assuma il debito di un altro, anche nota come 'clausola di NON bail-out'.
Quindi, la zona Euro dovrà garantire, in primo luogo, una maggior integrazione e stabilità finanziaria, nonché una miglior supervisione delle banche. Un piccolo strumento europeo di supporto sociale da attivare con le avvisaglie di grandi crisi, insieme a meccanismi di ristrutturazione del debito, potranno essere inoltre di grande aiuto, spiega l'economista tedesco.
La 'clausola di NON bail-out' (Art.125 del Trattato di Lisbona) esiste per assicurare che nessuno Stato membro possa esser responsabile per le condizioni di bilancio degli altri, con lo scopo di preservare la sovranità di bilancio e render manifesta, agli investitori, la necessità di differenziare tra livelli di rischio di ciascun singolo Paese.
"Possiamo aspirare a soluzioni con maggior integrazione di bilancio e condivisione del rischio, all'interno della Zona Euro, ma è a mio parere uno scenario di difficile attuazione" nell'attuale contesto politico europeo. L'alternativa passa per "rendere più credibile la 'clausola del NON bail-out', anche alla luce di quanto abbiamo imparato dalla crisi, il che sarà possibile se possiamo effettivamente ridurre il rischio dei salvataggi, nel futuro, collocando il 'focus' sul sistema bancario.
Può apparire un controsenso, ma per assicurare minor integrazione dei bilanci a livello europeo abbiamo necessità di una maggiore integrazione bancaria e finanziaria", sostiene, richiamando l'urgenza di sviluppare strumenti che garantiscano una miglior stabilità finanziaria. Tra essi, si sta completando l'approfondimento dell'unione bancaria, con la creazione di un'assicurazione comune dei depositi ed una migliore e più efficace supervisione del sistema bancario da parte della BCE.
"Affinché la 'clausola di NON bail-out' risulti credibile, necessitiamo di interrompere la connessione diabolica tra Stati e banche", chiosa, aggiungendo che sarebbe probabilmente utile disporre di un qualche tipo di piccolo fondo europeo di sostegno sociale (il che sarà arduo), nonché di regole più chiare di ristrutturazione del debito per i casi in cui il salvataggio si riveli inevitabile.


3) Nazaré Cabral, Prof. Facoltà di Diritto di Lisbona
"Potrebbe essere introdotto un fondo di stabilizzazione nelle regole del Patto di Stabilità."
Proposta 3: creare un fondo di stabilizzazione dell'economia.

Nazaré Costa Cabral propone la creazione di un fondo di stabilizzazione che consenta di moderare gli shock finanziari a livello di unione monetaria, alleviare le divergenze periodiche tra gli Stati membri e conferire al Patto di Stabilità e Crescita una dimensione incentivante, rispetto ai Paesi adempienti, piuttosto che sanzionatoria (come oggetto di numerose discussioni, anche in Portogallo).
Un fondo di tale natura si avvicina ad un concetto di bilancio federale, ormai possibile nella Zona Euro, sostiene. "L'idea è un simulacro di bilancio federale in embrione, che preveda ingressi e uscite, con l'obiettivo di attutire sia possibili shock asimmetrici tra Paesi, sia gli shock simmetrici", spiega.
L'economista e giurista, che negli ultimi mesi ha studiato ed analizzato varie proposte di meccanismi di assorbimento degli shock finanziari per la Zona Euro, si esprime a favore del finanziamento attraverso la creazione di un'imposta specifica a livello UE: "Sarebbe più facile per creare un fondo specifico, invece di utilizzare imposte esistenti in ciascun paese, poiché le regole per la determinazione delle imposte variano notevolmente tra gli Stati membri", afferma, spiegando che i paesi in recessione non contribuirebbero (o contribuirebbero di meno) a tale fondo; mentre quelli in fase di crescita contribuirebbero di più.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle risorse economiche così accantonate, Nazaré Costa Cabral non prende posizione: "o il fondo trasferirà direttamente risorse ai bilanci dei Paesi in difficoltà, o compenserà direttamente i relativi lavoratori ed imprese attraverso la riduzione dei contributi obbligatori di previdenza sociale".
A lungo termine, tale tipo di fondi non implica necessariamente trasferimenti di bilancio tra Stati membri. Ma Cabral ha un ulteriore argomento per convincere gli scettici: sarebbe possibile (e auspicabile) collegare il fondo al PSEC (Patto di Stabilità e Crescita) per esempio facendo dipendere l'entità dei trasferimenti dall'adempimento delle regole di bilancio: "il PSEC è un meccanismo di limitazione del rischio morale ed è asimmetrico: si preoccupa degli inadempienti, ma non premia né incentiva quelli che lo centrano e lo superano. L'associazione dei risultati positivi alla erogazione di tale fondo consentirebbe di introdurre tale dimensione premiale".






4) Francesco Franco, Prof. in Economia presso la "Universide Nova" di Lisbona, proveniente dalla Univ. Bocconi di Milano
"La zona Euro ha la necessità di nuovi meccanismi di regolazione simultanea degli equilibri sia interni sia esterni."

Proposta 4: rendere l'IVA e le tasse previdenziali strumenti di riequilibrio della U.E.

La Zona Euro necessita indubbiamente di strumenti di riequilibrio interno per i paesi indeboliti dalla crisi - come un sussidio europeo di disoccupazione o qualche fondo di stabilizzazione ciclica - ma parimenti necessita di strumenti istituzionali che promuovano l'equilibrio esterno delle varie economie. La proposta di Francesco Franco per riformare l'unione monetaria è che si tenti di realizzare entrambi gli strumenti contemporaneamente: "la Zona Euro ha certamente bisogno di meccanismi che permettano il risanamento simultaneo a livello sia interno sia esterno", dice, spiegando come collocherebbe una tassa sul consumo e sul lavoro, a servizio dei riequilibri interni della Zona Euro.
Un sistema europeo di gestione della disoccupazione potrà rivelarsi di supporto alla situazione interna, ma non aiuta la regolazione esterna, potendola finanche arrecarle pregiudizio, spiega. E che nell'Unione monetaria un aggiustamento relativo dei prezzi, che è condizione necessaria per permettere la regolazione esterna, esige l'emigrazione e l'aggiustamento dei salari. Ora, il sussidio di disoccupazione, che può esser auspicabile sul piano sociale e interno, è parimenti di ostacolo alla regolazione sul fronte esterno.
Per tentare di risolvere questa contrapposizione di politiche possibili, l'economista propone "un fondo di stabilizzazione, che può essere un sistema di sussidi di disoccupazione, finanziato da un 'mix' di entrate IVA e dei contributi di sicurezza sociale", favorendo così il riequilibrio esterno.
Chi ha seguito il dibattito degli ultimi anni in Portogallo sulle detrazioni fiscali, ha sicuramente familiarità con parte del ragionamento: gli aumenti dell'IVA penalizzano le importazioni, mentre le riduzioni delle imposte favoriscono l'export.
L'economista sostiene che il meccanismo debba funzionare su scala europea: quindi, "un paese con un disavanzo esterno finanzierà il fondo del Fondo di stabilizzazione abbassando la quota di 'Tassa Sociale Unica' e aumentando l'aliquota IVA. Simmetricamente, il paese dotato di surplus esterno lo finanzierà aumentando la 'Tassa Sociale Unica' e abbassando l'IVA", spiega, proponendo di iniziare con un molto piccolo e leggero, che possa essere testato e validato, e poi aumentato se tutto procederà per il meglio.


5] Ricardo Cabral, Prof. in Macroeconomia presso la Università di Madeira, Portogallo
"Il problema più grave della zona euro è una carenza cronica di domanda aggregata risultante dalle norme del Patto di Stabilità e Crescita."

Proposta 5: imporre una tassa sulle eccedenze di surplus esterno.

Il problema principale della unione monetaria è una carenza cronica di domanda aggregata, derivante dalle regole del Patto di stabilità e crescita, che dev'essere compensata con un meccanismo di trasferimenti finanziari reciproci dei paesi con surplus, sostiene Ricardo Cabral.
Per risollevare l'Europa dalla spirale depressiva, Cabral propone l'applicazione di una tassa straordinaria a carico dei Paesi con un eccesso di surplus esterno. "Chi presenti un eccesso ingente di bilancio corrente dovrà sottoporsi ad una multa, che servirebbe ad incentivare la domanda aggregata nei Paesi con livelli elevati di disoccupazione", dichiara.
L'economista propone che 1/4 del surplus esterno eccedente il 3% del PIL sia trasferito al bilancio della UE e distribuito ai Paesi ad elevata disoccupazione ed alto indebitamento. Basandoci sui dai del 2016, una misura di questo tipo ridurrebbe il surplus tedesco annuale da circa il 9% del PIL a ca. il 7.5% del PIL, ma farebbe aumentare il bilancio UE del 27%, passando da quasi l'1% del PIL dell'area Euro all'1,27%. Inoltre, aggiunge, "creerebbe un incentivo per la Germania a promuovere attivamente misure di stimolo della domanda interna al fine di ridurre il suo surplus", come le è stato più volte raccomandato dalla Commissione europea.
Critico verso il modo in cui la Zona Euro insiste a considerare tabù alcuni argomenti - da quello del ruolo di prestatore di ultima istanza che la BCE deve assumere, alla totale avversione a trasferimenti diretti di bilancio - Cabral insiste che è indispensabile riconoscere i pregiudizi impliciti nelle regole europee in vigore. "Imponendo a tutti il pareggio di bilancio, le regole richiedono a tutti i Paesi anche conti in equilibrio con l'estero. Questo finisce per generare forze deflazionistiche in termini aggregati che pregiudicano l'occupazione e la riduzione del debito dei paesi più deboli, contemporaneamente promuovendo un surplus esterno della zona euro superiore al 3% del PIL", critica.











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